Lo smart working è stato considerato “la svolta irreversibile” durante il periodo di pandemia causato dalla diffusione del Coronavirus: oggi però questo trend è in calo e non riguarda solamente i lavoratori italiani.
L’Inapp (Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche) sottolinea come in Italia, nel periodo pandemico 2020-2021, risultavano in smart working oltre 7 milioni di lavoratori mentre nel primo periodo del 2023 la cifra si è ridotta a poco meno di 3 milioni.
Questo trend però non è solo italiano. Negli Stati Uniti, ad esempio, è già cominciato un abbandono dello smart working dopo tre anni di rivoluzione che aveva dato un bagliore di cambiamento del sistema americano.
Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics, il Centro di raccolta dati del dipartimento lavoro, nel gennaio 2019 usufruivano dello smart working solo il 4,7% dei lavoratori, a maggio 2020, con l’emergenza pandemica in corso, questa percentuale era salita al 61% mentre oggi la percentuale è in netto calo. Nel 2022 circa 21 milioni di lavoratori sono tornati a lavorare in sede.
Tornando ai dati italiani, l’applicazione dello smart working permette di ottenere benefici a livello ambientale riducendo le emissioni di CO2 di circa 450 Kg annui per persona oltre che una riduzione dei costi potenzialmente più significativi per le aziende.
Inoltre, il prossimo 30 giugno è la data termine della proroga per i lavoratori fragili e per i genitori di figli fino a 14 anni di poter lavorare in maniera agile.
Dopo il 30 giugno infatti, qualora non ci fossero interventi legislativi volti a prorogare ulteriormente la possibilità di ricorrere al lavoro agile, le categorie beneficiarie dovranno tornare a lavorare necessariamente in presenza.
In sostanza, il ricorso allo smart working sarà governato da accordi individuali tra aziende e lavoratori, secondo quanto previsto dalla Legge n.81 e dal Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile.